Concentrarsi sul potenziale, non sul deficit

Prendere consapevolezza delle nostre principali risorse per svilupparle al massimo del loro potenziale, per diventare la miglior versione di noi, senza cercare di diventare qualcun altro.

Questa è la base della metodologia creata da uno psicologo americano, Donald Clifton[1].

È una questione di prospettiva

Clifton ha avuto l’intuizione di spostare lo sguardo delle persone sulle cose che facevano bene cercando gli strumenti che utilizzavano, che avevano a disposizione, invece che lavorare sulle aree di insuccesso.

Ha ottenuto risultati straordinari sviluppando il potenziale.

Di fatto ha cambiato il punto di vista mettendo il focus sul loro potenziale.

La psicologia positiva alla base di tutto

È stato il precursore della psicologia positiva che si è poi sviluppata in America con Martin Seligman che nel 1975 ha indicato con il termine di “impotenza appresa” quella sensazione di sfiducia persistente e totalizzante, che porta a desistere dall’affrontare un problema o una situazione in virtù del fatto che in passato sono state affrontate situazioni simili con esito negativo, concentrandosi quindi su ciò che non ha funzionato, ciò che abbiamo sbagliato o non siamo riusciti a fare.

Pensiamo così di non essere capaci di affrontare la maggior parte delle cose che accadono, finendo per de-potenziarci.

È la natura dell’uomo

Siamo costruiti per evitare ciò che è pericoloso o doloroso per poter sopravvivere e, dunque, il nostro sistema cognitivo ci porta a individuare errori e pericoli vissuti rendendoli più salienti nella nostra memoria, rispetto invece a successi, meriti o eventi positivi, in modo da poterli rievocare con fini difensivi con maggiore facilità.

Ma questo può spesso diventare un grande ostacolo per l’espressione del nostro potenziale.

Elenca le tue qualità

Elenca le tue qualità

Siamo così abituati a questo approccio che se ci viene chiesto di elencare i nostri difetti, non abbiamo difficoltà a evocare le aree nelle quali performiamo con fatica.

Non tutti sanno invece identificare le aree di forza, le risorse disponibili, le modalità che utilizziamo con successo, i nostri comportamenti abituali di successo. Le diamo per scontate. Pensiamo siano caratteristiche che appartengono a tutti, mentre sui “difetti” ci etichettiamo malamente come se fossimo solo noi ad avere difficoltà.

Per questo per identificare il potenziale potremmo aver bisogno di un aiuto, di uno sguardo esterno.

Il test di Clifton e Gallup

Clifton e Gallup hanno creato un test che è ormai stato completato da più di 25 milioni di persone, raggiungendo un livello di validità e attendibilità statistica davvero elevato.

I due autori hanno identificato le aree del talento e hanno dato un nome ed una descrizione chiara ad ognuno, raggruppandole in 4 macro-aree:

  1. far succedere le cose;
  2. costruire relazioni;
  3. aspetti cognitivi, mentali, definiti strategic thinking;
  4. influencing.

Dietro questi grandi cluster ci sono molti diversi talenti, comportamenti possibili.

Cosa sono realmente i talenti?

Sono le nostre modalità ricorrenti e naturali di pensare, sentire e comportarci che utilizziamo spesso inconsapevolmente, ma che, una volta che riconosciamo, possiamo sfruttare in modo consapevole ed efficace.

Il talento siamo noi

Sono aspetti della nostra personalità. Possiamo diventare il meglio di ciò che siamo, migliorare moltissimo sviluppando ciò che c’è, senza diventare qualcun altro. La miglior probabilità di successo, dicono Clifton e Gallup, è quella di investire su ciò che siamo, sui nostri talenti, le nostre risorse.

70 anni di ricerca

Test di Clifton e Gallup

Gallup ha condotto uno studio longitudinale, intervistando per circa 70 anni migliaia di persone. Ogni anno, sugli stessi aspetti. Gli intervistati erano stati divisi in due gruppi:

  • al primo, aveva somministrato il test per individuare i talenti, spiegandone quindi i risultati e invitandoli a concentrarsi e sfruttarli il più possibile;
  • al secondo, invece, il gruppo di controllo, non aveva somministrato alcun test.

Sfruttare il proprio potenziale per migliorare la propria vita

Il risultato dello studio dimostrò che le persone che si erano focalizzate nell’usare i proprio punti di forza avevano riportato una qualità della vita “eccellente” nel triplo dei casi rispetto al gruppo di controllo e si erano dichiarate motivate e coinvolte nel proprio lavoro in un numero sei volte più grande rispetto al gruppo di controllo.

I primi sono risultati più positivi nelle interazioni con i colleghi, hanno raggiunto maggiori risultati, riportano maggiori momenti di creatività, persino la durata dei matrimoni appare più lunga e l’interazione con i figli è migliore. Uno di questi, riferiscono alcune fonti, è diventato persino presidente degli Stati Uniti, ma la privacy si è messa di mezzo e non sappiamo chi sia.

Tutto quello che sapevamo era falso

Gallup ha ribaltato la teoria classica: per anni ci hanno chiesto di focalizzarci sui punti deboli da migliorare. Un grande sforzo per risultati generalmente mediocri. Chiedete ad una persona che non è inclusiva di sforzarsi di diventarlo. Non gli verrà neppure in mente come fare. O una persona che non è empatica di diventarlo. Non ci riuscirebbe, non diventerà una sua energia, una sua tendenza spontanea.

Costruire sui talenti permette invece di arrivare all’eccellenza e di brillare.

La nostra stella: il nostro potenziale

Successo al lavoro

Pensiamo ai nostri talenti e alle nostre risorse come alle punte di una stella: immaginiamo che ci siano la comunicazione, l’analiticità, l’empatia e così via.

Se li conosciamo e ci investiamo tempo ed energie, li usiamo per raggiungere i nostri obiettivi, li alleniamo. Lo sapremo fare bene perché siamo intrinsecamente motivati ed è ciò che spontaneamente già facciamo bene e che ha a che fare con i nostri valori, con chi siamo.

Le punte della nostra stella si allungheranno perché cresceranno e noi con loro, prendiamo spazio, ci espandiamo. Staremo bene perché avremo successo nel farlo, brilleremo e le nostre debolezze non saranno al centro dell’attenzione nostra e degli altri, il focus sarà sulle nostre aree di eccellenza.

Investi su ciò che rende

Se investiamo su ciò che manca, miglioreremo, certo, ma non quanto potremmo crescere investendo sui talenti su cui non avremmo altrimenti tempo per investire. Così le punte più lunghe resteranno uguali, non ci saranno eccellenze e saremo spenti, con meno energia, meno “self-confidence“.

Se cerchiamo di essere well rounded, saremo mediocri. Tutti noi abbiamo delle punte e delle aree di fatica. Meglio prenderne atto, sfruttarle e svilupparle.

I vantaggi di essere sharp in un team

Vista filtrata

Se siamo appuntiti, lasciamo spazio agli altri per sviluppare le loro punte (far incastrare le 2 mani). Un buon team è importante che sia well rounded mentre gli individui quando provano ad esserlo, rimbalzano gli uni contro gli altri.

I nostri talenti rappresentano anche i filtri attraverso cui vediamo il mondo. Pensate ad una persona analitica, fact based. Questo è un valore per lei. Una cosa in cui crede. Non amerà quindi persone che esprimono opinioni non sostanziate. Magari sono persone super intuitive che fanno fatica subito a sostanziare il loro punto di vista ma che ci vedono piu “lungo” degli altri. Gli analitici faticheranno ad ascoltare questo tipo di persone e quindi potrebbero perdersi aperture su nuovi punti di vista.

Quindi diventa un filtro.

O pensate a come, a volte, un talento può diventare un ostacolo. Chi ha l’activator può diventare estremamente impaziente e non ascoltare le sagge riflessioni di chi ha talenti di analiticità o il deliberative che permette di vedere ostacoli prima degli altri. Sarà infastidito, impaziente, non ascolterà e potrebbe essere sgradevole, essere pushing, far sentire gli altri incompresi e di fatto li potrebbe giudicare poco coraggiosi.

Per questo la consapevolezza è fondamentale

Learn, love, live

I talenti sono inconsapevoli aree di potenziale che usiamo senza rendercene conto. Se apprendiamo quali sono e come li usiamo, possiamo imparare a usarli quando ci servono. Possiamo imparare ad utilizzarli consapevolmente quando ci servono e a trattenere l’impulso ad usarli in modo reattivo quando invece sono fuori luogo.

Pensate a chi ha il talento della comunicazione. È bravo a parlare, ad affascinare, a usare metafore. È un talento nella leadership, riesce a parlare ad audience ampie, a portare la voce del gruppo al di fuori del gruppo. Se però non ne è pienamente consapevole, spesso è tale il desiderio e l’abitudine che ha di parlare ed esprimersi che occupa tutto lo spazio, non ascolta, non si rende conto dell’impatto che ha sul gruppo, che ha bisogno di tempi diversi, di pause. Perde il contatto con il gruppo e perde la capacità di influenzare.

Per questo è importante conoscere i talenti e innamorarsene riconoscendo quanto ci siano stati d’aiuto nella vita in più occasioni e quanto sia grazie a loro che abbiamo raggiunto molte delle nostre mete, per poi allenarci a usarli, quando servono, in modo consapevole e non reattivo.

E le nostre aree deboli?

Focalizzarsi

L’approccio positivo che guida questa metodologia può far pensare che non dobbiamo occuparci delle nostre aree di fatica, delle aree nelle quali performiamo meno, ma non è così. Dobbiamo comprendere quali talenti usare per raggiungere un determinato obiettivo.

Se voglio influenzare, lo posso fare con talenti diversi, ma va capita qual è la mia modalità.

Se voglio motivare il mio team, e se sono un capo non posso farne a meno, lo farò tenendo conto dei miei talenti e dei miei limiti. Se non sento qual è il sentimento del team, pianificherò degli incontri per chiedere e mi farò aiutare da talenti cognitivi invece che da ciò che sento.

Se non sono bravo a comunicare, devo prepararmi. Se ho una presentazione davanti a centinaia di persone, dovrò scegliere le parole, forse farmi aiutare, e questo mi porterà via molto tempo, ma dovrò farlo. Si tratta di una situazione a rischio, se non mi preparo. Mi preparo perché so di non essere bravo. Forse sono bravo a interagire con il pubblico, forse sono bravo a rompere il ghiaccio, risulto simpatico. Dovrò quindi spingere su questi aspetti che mi appartengono per fare una presentazione eccellente ed è questo che la renderà straordinaria. Oppure, i contenuti della presentazione, grazie al mio pensiero raffinato, saranno così interessanti che andrà bene per questo.

Le persone sono uniche come il potenziale

Unicità delle persone

Questa metodologia non è l’ennesima modalità per etichettare le persone. L’obiettivo è aiutarci a conoscere noi stessi e gli altri, farci amare ed apprezzare noi stessi e gli altri attraverso il linguaggio dei talenti invece che quello dei difetti. Usarli per crescere nella direzione più ricca di opportunità per noi.

Ognuno di noi rappresenta una complessità unica, un insieme di comportamenti, credenze, valori, capacità.

Il test di Gallup elenca le 34 aree di talento divise nei 4 cluster di cui abbiamo accennato prima. L’esito ordina i nostri talenti dal più forte per noi a quello più debole. L’ordine in cui sono, e dunque quale talento venga prima e dopo gli altri, lo caratterizza in modo molto diverso. Se prima ho l’inclusione e dopo il woo, il desiderio di corteggiare e la positività, avrò un’empatia molto diversa di chi prima dell’empatia ha l’analiticità e dopo l’achieverness.

Quindi l’elenco in cui sono descritti i talenti, il loro ordine, ci caratterizza in modo unico. I primi 5 talenti nello stesso ordine si trovano in una persona ogni 33 milioni, e conseguentemente, se facciamo il calcolo delle probabilità partendo da questo dato, i primi 10 talenti nello stesso ordine si trovano in un caso su 4.765 miliardi. Quindi non esistono due persone con le stesse caratteristiche.

Siamo un meraviglioso insieme di individui unici, imperfetti e straordinariamente dotati.


[1] Era un personaggio molto dotato, nato negli anni ‘20, laureato in matematica e psicologia, ha insegnato all’università del Nebraska. Oltre alla passione per comprendere come funzionano le persone univa grandi capacità logiche, analitiche e imprenditoriali faceva tantissime ricerche, creava statistiche su cosa funzionava o meno per aiutare le persone a stare bene. Nel ’69 creò la sua società di ricerche e nell’88 ha comperato Gallup.